La famiglia Campos arrivata al campo di concentramento di Agnone

Il campo di Agnone risulta tanto presente nella memoria delle comunità rom e sinte, quanto è assente e sconosciuto per la storiografia della cultura maggioritaria.

Zlato Bruno Levak ne aveva narrato le vicende su «Lacio Drom» del 1976, la rivista edita dal Centro Studi Zingari e diretta da Mirella Karpati: 

“In Italia siamo stati in un campo di concentramento anche noi, quasi senza mangiare. Io ero a Campobasso con la mia famiglia. Eravamo in molti. C’erano i miei zii che si chiamavano Bogdan e Goman. C’erano anche rom italiani, di su, verso l’Austria, mezzi tedeschi. Era male anche là. Eravamo in un convento, tutto chiuso con le guardie intorno come un carcere”.

La prima testimonianza del 1976 già parlava di un campo di concentramento in un convento, ma per trent’anni nessuno ha più raccontato niente, mentre l’ex convento diventava una prima un educandato e poi una casa di cura.

A far improvvisamente destare la memoria dei non rom e non sinti è stato l’arrivo ad Agnone di Emilia Milka Goman, nell’aprile del 2005. Milka era una rom apolide residente da più di mezzo secolo a Roma. L’ultimo campo nomadi della capitale in cui è vissuta è stato quello di Foro Boario, sgomberato proprio qualche anno dopo la sua visita ad Agnone. 

Milka Goman era stata una delle prigioniere di Agnone che a distanza di sessant’anni, durante un’attività di narrazione teatrale svolta all’interno di Foro Boario, cominciò a ricordare della prigionia in un campo di concentramento nel paese di Agnone, in Molise.

In quello stesso periodo, nel paese dell’alto Molise, un professore delle scuole superiori, Francesco Paolo Tanzj, stava svolgendo un laboratorio di storia locale con i propri alunni che stavano faticosamente ricostruendo la storia del campo di concentramento sorto in quel luogo tra il 1940 ed il 1943; nessuno sembrava prestarvi attenzione né dare credibilità alla storia che Tanzj cominciava a raccontare. Erano state rintracciate anche le liste di 150 internati e tra loro c’era il nome di Milka Goman ed anche quello di Tomo Bogdan, un altro testimone diretto che viveva a Roma, sempre a Boario, ma che è deceduto senza poter tornare nel luogo della prigionia subita. Tra i nomi degli internati presenti sulle liste anche quello di Reinhardt Annetta con il figlio Celestino: essi erano due tra quei 58 soggetti spostati ad Agnone nel momento della chiusura del campo di Boiano.

Il ritorno di Milka ad Agnone è stato un disvelamento: ciò che nessuno ricordava è tornato alla memoria degli agnonesi e ciò che sembrava inverosimile si è rivelato storia realmente avvenuta. I documenti rintracciati hanno poi permesso di raccontare nei minimi dettagli questa vicenda, poiché Agnone è stato il luogo centrale per la persecuzione fascista di rom e sinti. 

Quest’ultimo fu campo di concentramento dal luglio del 1940. La sede era quella dell’ex Convento di S. Bernardino da Siena, di proprietà della Diocesi di Trivento. Aveva una capienza di 150 posti ed era diretto dal Commissario di Polizia Guglielmo Casale, la vigilanza era affidata ai Carabinieri che avevano sede nell’edificio. Alla sua apertura, gli internati erano solo uomini, appartenenti alle categorie dei sudditi nemici (soprattutto inglesi) e degli ebrei stranieri (soprattutto tedeschi ed austriaci). Successivamente, i prigionieri vennero trasferiti in altri campi, mentre il 15 luglio, dal Campo di Boiano che fu definitivamente chiuso, arrivarono 58 rom e sinti. Da quel momento, la struttura diventava “campo di  concentramento per zingari”. Nel 1943 c’erano 150 internati, tutti rom e sinti. I nomi delle famiglie erano Alossetto, Brajdic, Bogdan, Campos, Ciarelli, Gus, Halderas, Held, Hudorovic, Hujer, Karis, Locato, Mugizzi, Nicolic, Rach, Reinhardt, Rossetto, Suffer, Waeldo. Nel campo di Agnone i documenti testimoniano anche dell’idea del direttore del campo d’istituire una scuola per i bambini internati, con il recondito obiettivo di eliminare ogni traccia di una cultura diversa. 

Alla liberazione del campo, quando nel settembre del 1943 le guardie lasciarono la sorveglianza, Milka Goman e gli altri rom e  sinti di Agnone ripresero la strada verso casa e poco distante dal luogo d’internamento, proprio Milka Goman dette alla luce il figlio Franco. Nel gennaio del 2013, sul muro dell’ex convento il progetto Memors, in collaborazione con il comune di Agnone ha finalmente posto una targa a ricordo delle famiglie internate; erano passati settant’anni dagli eventi narrati.

I documenti del campo di concentramento di Agnone:

Il volume curato dal prof. Francesco Paolo Tanzj e dagli alunni della classe VA (2016-2017) dell’Istituto Omnicomprensivo G.N. d’Agnillo di Agnone, Una storia mai finita, che racconta la ricerca e le vicende che hanno coinvolto la cittadina di Agnone alla scoperta della storia del campo di concentramento, a partire da un laboratorio scolastico.

Riferimenti

L. Bravi, Rom e non-zingari, Cisu, Roma, 2007.

Z.B. Levak, La persecuzione degli zingari. Una testimonianza, in «Lacio Drom», n.3, 1976, pp. 2-3.

F.P. Tanzj, Una storia mai finita, Agnone, 2018.

La storia di Emilia Milka Goman

Nel 1941, Emilia Milka Goman, una romnì, è fuggita dalla Croazia per evitare l’uccisione da parte degli Ustascia, i fascisti croati agli ordini di Ante Pavelic. Giunta fortunosamente in Italia è stata arrestata, perchè “zingara”, in provincia di Pisa. È stata trasferita nel campo di concentramento di Agnone con la sua famiglia. È rimasta apolide per tutta la sua vita: nonostante la persecuzione subita, non le è stata riconosciuta la cittadinanza di nessun Paese e dopo la guerra ha vissuto nei campi nomadi di Roma, per ultimo quello di Foro Boario (Testaccio-Roma), sgomberato nel 2008, in risposta alla “emergenza nomadi” dichiarata dal governo italiano.
Nel 2005 è tornata ad Agnone e ha testimoniato della prigionia di rom e sinti nel convento di San Bernardino, diventato un campo di concentramento tra il 1940 e il 1943.

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