L’ex tabacchificio della Saim, a pochi metri dalla ferrovia, fu scelto come luogo per un campo di concentramento nell’estate del 1940. Non fu immediatamente riservato a rom e sinti anche se gran parte dei deportati furono da subito degli “zingari”. Un documento relativo al campo indicava tra l’altro che questo poteva essere adatto a 250 prigionieri normali, oppure a 300 “zingari”. Già nel 1941 sembra abbastanza evidente che il campo di concentramento di Boiano dovesse diventare il luogo d’internamento specifico per tale categoria. Nei verbali di polizia, sono almeno trenta soggetti della famiglia Hudorovic ad essere inviati tutti, provenienti da più parti d’Italia, proprio verso Bojano. Dal 1941, l’arresto di uno “zingaro” indicava sempre come meta quella del campo di concentramento in provincia di Campobasso.

Il 9 aprile 1941, fu fermata una carovana di “zingari” nella zona di Udine; era composta da 8 persone: Antonio Suffer, la moglie Genoveffa Locato ed i figli Cesarina, Nerina ed Albino con le nipoti Maria e Nerina Locato. Insieme a queste persone viaggiavano altri due sinti anch’essi fermati: si trattava di Annetta Reinardi che aveva con sé il figlio di tre anni, Celestino. Annetta aveva italianizzato il proprio cognome, ma si trattava della famiglia Reinhardt, originari della Germania, ma fuggiti in Italia a fine Ottocento per la persecuzione attivata da Alfred Dillmann, capo della polizia bavarese. Il documento di arresto concludeva: «trattandosi di elementi socialmente pericolosi, privi di stabile occupazione e senza fissa dimora si propone l’internamento in un campo di concentramento». Era il 1941 e il nome del campo verso cui indirizzarli, annotato sul foglio a matita, era Bojano dove giunsero qualche settimana dopo, scortati dai carabinieri.
I tre capannoni cinti da reticolati con le inferriate alle finestre che caratterizzavano quel luogo di prigionia erano assai utili per imprigionare rom e sinti: in uno dei tre spazi erano lasciati i cavalli che poi venivano portati via dai carabinieri, mentre nelle altre aree c’erano la cucina, il refettorio ed altri servizi. Il campo era diretto da un commissario di Polizia e la vigilanza era affidata ai Carabinieri. Nell’estate del 1941, dietro proposta di utilizzare l’ex tabacchificio per la lavorazione della ginestra e quindi in virtù di una miglioria lavorativa per la zona, l’Ispettore Generale del Ministero ordinò di chiudere il campo di Bojano e di spostare i prigionieri in altri luoghi di concentramento; i rom ed i sinti (che in quel momento erano 58 individui) furono tutti portati nel campo di Agnone.

I documenti relativi al campo di concentramento di Bojano: